Passeggiando nella pineta di Marina Romea alla foce del fiume Lamone, tra il circolo nautico e lo stabilimento balneare Boca Barranca, è possibile imbattersi in una croce seminascosta dai rovi. Si vocifera che, giunti in questo luogo all’imbrunire, nel silenzio della pineta si possano avvertire sussurri e lamenti; addirittura qualcuno è rimasto pietrificato dalla paura scorgendo nella nebbia invernale l’inconfondibile sagoma di una donna.
Ebbene sì, si parla proprio di fantasmi. Ma cosa è successo in questo luogo?
Il cadavere semisfigurato di una bella ragazza su una spiaggia. Poco distante, su una duna di sabbia, una fossa vuota profonda quasi un metro, approssimativa sepoltura poi abortita per qualche ragione. E’ una mattinata grigia quella del 24 settembre 1905, l’aria rinfrescata dalla pioggia della notte, il mare mosso e l’arenile invaso dai detriti depositati dalle onde nel corso delle ultime ore. Teatro dell’orribile ritrovamento è la spiaggia di quella che oggi conosciamo come Marina Romea, che però all’epoca era ancora una propaggine poco abitata dell’odierna Porto Corsini.
Le cronache dei principali quotidiani nazionali sono ancora perlopiù occupate dai resoconti sul terremoto che appena due settimane prima ha sconvolto la Calabria, causando oltre cinquecento vittime, e la notizia di un misterioso omicidio sulla Riviera ravennate trova narrazione solo sulle pubblicazioni locali.
Ma torniamo a quella domenica mattina di inizio autunno, quando alcune donne, passeggiando in riva al mare, scorgono sul bagnasciuga il corpo senza vita di una donna orrendamente sfigurata. La notizia si diffonde immediatamente e nell’abitato scattano le prime ipotesi relative all’identità della vittima, ma le operazioni di riconoscimento procedono a fatica. Le autorità inquirenti raggiungono il luogo solo nel pomeriggio, precedute da due finanzieri di stanza in zona, Giuseppe Rampello e Germino Pepi. E’ in quelle ore che si attribuisce un nome alla giovane, grazie all’arrivo dei famigliari che, stanti le pessime condizioni del corpo, riconoscono la congiunta solo grazie a pochi decisivi particolari. Si tratta di una ragazza del posto, la ventiquattrenne Maria Novelli.
L’autopsia viene effettuata nell’obitorio locale, nei pressi della chiesa che si affaccia sul canale del porto e il responso non lascia spazio all’immaginazione: la donna è stata uccisa dai violenti fendenti di una lama rozza, colpita prima all’altezza del ventre, poi alla nuca (probabilmente durante un tentativo di fuga) e infine in modo letale alla gola. Le mani sono graffiate, ad indicare una colluttazione.
E poi… Maria era incinta di un mese.
Ancora, l’omicidio dovrebbe essere stato compiuto approssivamente nel tardo pomeriggio di sabato 23 settembre. Il particolare della gravidanza (poi rivelatosi ininfluente) indirizza comunque le indagini lungo la pista passionale, ma intanto la polizia cerca di ricostruire le ultime ore di vita della ragazza. Il fidanzato, Giovanni, ha un alibi di ferro e il suo nome viene immediatamente scartato dalla lista dei possibili colpevoli. E’ invece la sorella Clelia a fornire i primi elementi interessanti alle indagini, ricordando che il giorno precedente insieme a Maria aveva ricevuto la visita di due finanzieri, Pepi e Rampello e che proprio con quest’ultimo la giovane aveva avuto un piccolo alterco.
La comunità di Porto Corsini è sconvolta dagli eventi, le voci si rincorrono e cresce un clima di reciproco sospetto che sembra avvelenare anche i funerali della donna, le cui spoglie trovano riposo nel cimitero di Mandriole, la piccola frazione abitativa che sorge oggi sulla riva del canale destra Reno.
Intanto le indagini prendono forma, gli interrogatori si susseguono e le testimonianze si moltiplicano.
Si delinea il profilo di Maria, se ne individuano le abitudini e soprattutto le frequentazioni. La scena del delitto offre pochi spunti agli inquirenti dell’epoca (siamo ben lontani dai moderni CSI), ma la presenza della fossa scavata sulla duna lascia immaginare un delitto premeditato con occultamento incompiuto, forse a causa dell’arrivo di qualche bagnante.
Le investigazioni sembrano concentrarsi sempre più sui due finanzieri Pepi e Rampello, specialmente su quest’ultimo, che secondo alcune testimonianze vedeva respinte da Maria le proprie attenzioni. Vengono ricostruite le ultime ore di vita della ragazza ed alcuni particolari nella testimonianza dei due militari decisamente non tornano. Le guardie hanno effettivamente fatto visita alle giovani sorelle nella loro umile abitazione di Casal Borsetti, ma c’è una discordanza sulle due ore successive, che Rampello afferma di avere trascorso in compagnia del collega, smentito però da Pepi, secondo il quale i commilitoni si sarebbero rivisti solo nel tardo pomeriggio. Ce n’è abbastanza per determinare il fermo del finanziere siciliano, per il quale la situazione sembra velocemente precipitare quando vengono riscontrate tracce di sangue sui suoi indumenti e sulla dotazione militare. Il collega Pepi, invece, esce completamente dalle indagini.
Il processo ha inizio il 7 dicembre 1906 e Giuseppe Rampello è l’unico imputato.
Nelle parole dell’accusa gli indizi sembrano farsi inequivocabilmente prove, ma la difesa affidata all’avvocato Crapanzano, rinomato professionista siciliano, sorprendentemente rovescia un verdetto parso già scritto, i giurati sentenziano: “Assolto!”.
Dopo oltre un anno, dunque, l’omicidio di Maria Novelli resta senza colpevole. Rampello dopo quattordici mesi lascia il carcere e torna in Sicilia, ma il verdetto assolutivo divide Porto Corsini, che nel finanziere isolano aveva individuato il criminale perfetto e ora si ritrova in preda a congetture e ipotesi di nuovi possibili sospetti. La storia dell’omicidio della giovane donna potrebbe chiudersi qui, come caso irrisolto, ma la soluzione vera e propria, definitiva e inaspettata, arriva meno di un anno dopo, quando le cronache riportano del decesso di Giuseppe Rampello e della sua confessione in extremis. Il finanziere, gravemente malato e ormai in punto di morte, ammette le proprie responsabilità e l’omicidio di Maria, della quale, non ricambiato, si era invaghito.
Un finale scontato e già individuato, seppur raggiunto tortuosamente, per una vicenda destinata a perdersi nella memoria degli anziani e nelle pieghe del tempo. Una conclusione, però, capace di ristabilire la verità in ossequio ad una giovane vita stroncata per un rifiuto.
Se durante le tue passeggiate sei riuscito a trovare questa croce fermati un attimo e tendi l’orecchio: potresti essere il prossimo che avvista il fantasma!